Per affrontare un tema come questo, superato nella maggior parte dei paesi europei, ma ancora difficile e complicato nel nostro, dobbiamo adottare azioni chiare, coraggiose e lavorare sui fatti e sui dati.I fatti e i dati dicono che l'emergenza non esiste, i numeri parlano d'altro, che gli immigrati sono già una risorsa economica, producono quasi l'11% del PIL italiano e rappresentano solo il 6,34% della popolazione secondo il quindicesimo censimento Istat (aprile 2012) . Devono diventare risorsa sociale, culturale e politica, ne condividono le ansie, le paure, la crisi, le difficoltà e anche la speranza, ma senza voce perché non entrano nel discorso politico e non producono consenso. Il 96% di loro è invisibile perché non fa notizia e non finisce sulle pagine della cronaca. La rigidità della normativa in materia di immigrazione e di cittadinanza, la cosiddetta Legge Bossi-Fini che è stata peggiorata e complicata con il decreto sicurezza del ministro leghista Maroni, costano all'Italia milioni di euro ogni anno, questa rigidità fanno del nostro paese uno dei più chiusi nel mondo occidentale all'acquisto della cittadinanza. Altrove invece le cose vanno diversamente, in Australia possono bastare 2 anni, in Canada 3, negli Stati Uniti, Germania, in Gran Bretagna e in Francia 5 anni, questa ultima ha adottato il "ius soli" dal 1557, invece in Italia l'acquisto della cittadinanza è ancora una corsa ad ostacoli, i figli seguendo lo stato giuridico dei loro genitori che oltre alla lunga residenza (10 anni non interrotti) deve soddisfare altri criteri come il redditto,la buona condotta e l'idoneità alloggiativa e tanto altro. Ma bisogna dire che se la cittadinanza per gli adulti è un problema di stabilità e di sicurezza a casa propria, per i figli degli immigrati nati e o cresciuti in Italia, diventa un nodo cruciale, nascere e crescere sospesi tra due nazioni una è la loro di fatto, l'altra per documento. Possono avere gli occhi a mandorla o la pelle nera ma pensano e parlano il dialetto piemontese o napoletano, con il velo in testa e jeans e scarpe di ginnastica come i loro coetanei. Non sono immigrati, non hanno attraversato nessun confine, sono giovani italiani che vivono nell'incertezza, legati a un permesso di soggiorno.
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