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giovedì 7 febbraio 2013

Figli e figliastri e l'infanzia rubata

        Occhiali da sole scuri che coprono il piccolo viso pallido e stanco, un giaccone rosa che fa emergere il suo essere ancora bambina malgrado gli sforzi di mostrarsi adulta. Così Sabrina si è presentata questo pomeriggio in ufficio.

         Stringeva tra le braccia un piccolo fagottino rosa, una creatura di appena dieci giorni. Dai suoi movimenti traspariva tanto imbarazzo e nervosismo, alle mie domande di routine per compilare i documenti, rispondeva con  brevi silenzi e sguardi di aiuto alla madre che la accompagnava, si intuiva la sua difficoltà di concepire la situazione in cui si trovava. Eppure fino qui tutto appariva nella normalità, la mia prima impressione fu, infatti, di trovarmi davanti a un caso comune, la madre quarantenne che lavora dal mattino alla sera come badante per fare fronte alle esigenze della sua piccola famiglia, e due fidanzatini adolescenti che lasciati a loro stessi, ora si trovano a dover fare i genitori, mentre frequentano ancora i banchi della scuola. Si capisce, quindi, il suo smarrimento e il suo bisogno di essere rassicurata e confortata dalla propria madre, in fondo è ancora una bambina, che si è resa conto che il gioco è finito e che quel fagottino che ha tra le braccia non è una bambola di quelle con cui giocava fino a poco tempo fa, ma è un essere umano che dipende da lei in tutto e le ha cambiato il corso della sua vita, è sua figlia. 

         Sfogliando le carte è, però, emersa una squallida e sconcertante realtà. Innanzitutto, quel ragazzo di appena diciotto anni tanto affettuoso verso di lei non era il padre della bambina e neanche il suo fidanzato, ma il fratello maggiore. Ricongiunti dalla madre dopo che erano rimasti in custodia dalla nonna materna quando si trovò sola e costretta ad'emigrare per mandare avanti la famiglia. In Italia hanno trovato le comodità di una vita facile, la mamma quando c'è e tanta solitudine. 

          Non volevo entrare nel merito dei dettagli della loro sfera privata ma per dovere d'ufficio e per la completezza dei dati, ho dovuto chiedere del padre della neonata e se fosse stata riconosciuta. Davanti alla sua conferma fu d'obbligo invitare il padre per firmare le carte. 

E' tornata di nuovo, dopo mezz'ora sempre con il suo fagottino rosa stretto tra le braccia, ma questa volta non c'erano il fratello e la madre, ma l'accompagnava un uomo di mezza età, basso di corporatura e grasso, dai tratti severi e anche nei modi, sgarbato e prepotente. Aveva 45 anni portati male, coniugato e padre di altri tre figli più o meno coetanei di Sabrina.Un silenzio spaventoso ha investito tutta la stanza, che l'uomo ha, probabilmente, percepito con irritabilità e nervosismo ma non con vergogna. Invece la vergogna  si leggeva nei piccoli occhi di lei, ferma un passo dietro di lui, sembrava una statua di marmo, difficile percepire un suo movimento o anche solo un suo respiro. Si sentiva, invece, molto chiaramente la forza con la quale stringeva al suo petto la piccola creatura, mentre l'uomo sbrigava la faccenda con sfacciataggine e arroganza, convito di avere sistemato tutto con il riconoscimento della paternità alla piccola e di avere donato a Sabrina qualche cosa di prezioso senza rendersi conto di quello che le ha rubato.

           Come al solito dopo un episodio come questo, tra colleghi si è scatenata una accesa discussione e anche qualche polemica, tra stupore, condanne e qualche indignazione mi ha colpito il ragionamento di qualche maschilista (per non dire altro), che giustifica il fatto come un problema culturale: " da quelle parti è normale, le ragazze crescono prima, non come da noi". A parte che questa tesi non è vera, anche perché la matematica non è una opinione e una ragazza di sedici anni è minorenne qui e ovunque, riguardo alle differenze culturali, mi chiedo cosa può essere rimasto della sua cultura d'origine in Sabrina che ha trascorso più della metà della sua vita in Italia,  ha giocato con i bambini italiani e studiato con loro sui banchi della scuola italiana. Questo, però, è un discorso lungo e complesso, va affrontato nelle sedi opportune e con gli addetti ai lavori e non con chiacchiere tra colleghi. 

        Un' ora dopo, seduta al bar con tanto amaro in bocca più del mio caffè senza zucchero, mi cade l'occhio su il titolo di un articolo della Stampa " Shock in città Pedofilia, arrestato primario a Bari, avrebbe violentato una paziente sedicenne".          Come è strano questo Paese, anche nella sofferenza e nella violenza ci sono figli e figliastri!! Per Sabrina una ragazzina d'origine ecuadoriana di soli sedici anni, coetanea della ragazzina di Bari, rimasta incinta di un pedofilo di 45 anni sposato e padre di famiglia non c'è stato nessuno shock in città, anzi nessuno si è accorto del suo dramma consumato in silenzio e solitudine. Come se fosse che con il diventare madre (anche se solo a sedici anni ) cancella i segni e assolve i colpevoli.